Ogni mattina a Jenin (Universale economica) by Susan Abulhawa

Ogni mattina a Jenin (Universale economica) by Susan Abulhawa

autore:Susan Abulhawa [Abulhawa, Susan]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Letteratura e narrativa, Narrativa Contemporanea
ISBN: EPUB9788858800461-26646
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2013-01-23T00:00:00+00:00


IV. AL-GHURBA

(LA CONDIZIONE DI STRANIERO)

Ventiquattro

AMERICA

1973

Un senso di inadeguatezza segnò i miei primi mesi in America. Mi dibattevo in un mondo senza limiti, cercando di adattarmi. Ma la mia diversità traspariva dalla mia pelle scura e dal mio accento. Mi portavo addosso la condizione di esule come un cattivo odore, e i dirottamenti aerei degli anni settanta scrivevano il mio cognome arabo nel cielo.

“Tranquilla. Non hai mai visto un ascensore?” mi chiese una bella ragazza rossa all’aeroporto internazionale di Filadelfia.

Così era un “ah-sceyn-so-re”.

“Tu devi essere Amal.” Mi porse una mano morbida e curata. “Io sono Lisa Haddad. Mia mamma sta parcheggiando. Siamo la tua famiglia ospite.”

Lisa era più giovane di me ma molto più sofisticata e carina.

“Ciao” dissi, guardandola con un’invidia imbarazzante.

“Ho preparato la stanza degli ospiti per te” disse Lisa energicamente durante il breve tragitto in auto dall’aeroporto a casa loro. Era facile farsi conquistare da lei – anzi, era difficile il contrario. Il suo mondo era soffuso di tinte pastello, emotivamente protetto, finanziariamente solido e politicamente irrilevante. Mi sembrò strano ed eccitante che cercasse la mia simpatia e la mia approvazione.

“Grazie” dissi, non sapendo bene quale fosse la corretta risposta americana al suo cortese entusiasmo. Nel mondo arabo, la gratitudine è di per se stessa un linguaggio. “Che Dio benedica le mani che mi porgono questo dono”; “La bellezza è nei tuoi occhi che mi vedono graziosa”; “Che il Signore ti doni una lunga vita”; “Che Dio non respinga mai le tue preghiere”; “Che il prossimo pasto che cucinerai per noi sia per festeggiare il matrimonio di tuo figlio... il diploma di tua figlia... la guarigione di tua madre”; e via dicendo, una serie infinita di ringraziamenti e benedizioni. Venendo da una cultura simile, ho sempre trovato insufficiente un semplice “grazie”, come se rendesse misera e ingrata la mia risposta. Guardai il paesaggio urbano. Strisce di asfalto e di cemento si allungavano e si collegavano sotto più automobili di quante avessi mai visto in vita mia. Case a schiera, fabbriche e magazzini si susseguivano lungo la statale e lo smog velava il fitto skyline di Filadelfia. L’odore della città penetrava nell’auto. Enormi panini al formaggio e carne dei venditori ambulanti, patatine fritte unte, esalazioni dei furgoni diesel, gas di scarico delle auto diedero alle mie narici un corposo benvenuto. Un odore simile all’irreparabile morire dei gigli bianchi che crescevano nelle doline della Palestina, allo sfiorire dell’henné, che si schiudeva ogni primavera in fragranti fiamme di grappoli bianchi e gialli, ardenti e delicati.

La madre di Lisa, Angela Haddad, parlava sommessamente, indicando il Museum of Art, la statua di William Penn, il municipio, l’Independence Hall e altri monumenti che per me non significavano nulla. Teneva il collo perfettamente dritto e le lunghe dita avvinghiate al volante della sua Mercedes mentre guidava per la città. Possedeva un’eleganza impenetrabile e, pur essendo molto generosa e gentile con me, facevo fatica a rilassarmi in sua presenza.

“Mamma, papà verrà questa settimana?” chiese Lisa.

Il padre di Lisa viveva con la sua fidanzata e veniva a trovare la famiglia di tanto in tanto.



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